Rocco Rosignoli: “Raccontare è il modo più spontaneo che abbiamo per conservare le memorie”

Rocco Rosignoli: "Raccontare è il modo più spontaneo che abbiamo per conservare le memorie", ecco cosa ha raccontato in un'intervista a Bellacanzone.

Cinque sono le tracce che compongono COVID19 SUITE, il nuovo EP di Rocco Rosignoli, in uscita il 27 aprile 2020 via Sophionki records.

Come nascono le canzoni contenute nel disco Covid19 suite?

Le prima canzoni che ho scritto sono Prospettiva zero ed Everest, ed erano un mio modo di parlare del disastro ambientale. Durante la quarantena di marzo e aprile hanno preso una forma definita, e sono nate altre canzoni. Lo sfruttamento dell’ambiente è stato tra le cause del salto di specie effettutato da questo virus, e quindi lo scioglimento dei ghiacci eterni era un’apertura perfetta. Poi si parla di società di sopravvissuti, forse regredite a uno stadio di caccia e raccolta. Si parla della zona rossa, così come la vive chi, come noi a Parma, vede l’incubo da vicino. È una piccola serie di canzoni che vuole dipingere una situazione. Raccontare è il modo più spontaneo che abbiamo per conservare le memorie, per elaborare le esperienze. E io non so se c’è un vero e proprio compito per chi di mestiere fa l’artista, ma se ce n’è uno che io mi sento addosso è proprio questo.

Un titolo particolare per questo momento così delicato: hai mai pensato di dare un titolo diverso o sei sempre stato sicuro della scelta?

Per nulla. Ho cercato un altro titolo, ho anche chiesto suggerimento ad amici e a persone che mi seguono, ma non mi è arrivato nessun input valido. Ho tenuto questo titolo perché è esaustivo, e perché è sincero: è una suite di canzoni che parla della situazione generata dal CoVid-19, non c’è alcuna ironia nel titolo – ma all’inizio era provvisorio. È il modo in cui, sul computer del mio home studio, nominavo i file del lavoro mano a mano che procedeva. Mi è entrato in testa, e probabilmente non sono più stato capace di immaginarne un altro.

Secondo te la musica può salvare le persone in un periodo del genere e come?

È una domanda semplice ma richiede una risposta complessa. Cosa intendiamo per “salvare”? Sicuramente non può salvare nessuno dal contagio, né risolvere i problemi sociali che questa situazione inaspettata ha portato improvvisamente sotto gli occhi di tutti – dalla tenuta precaria della sanità, penalizzata da anni di tagli e privatizzazioni, allo sfruttamento dei lavoratori, costretti a recarsi in fabbrica rischiando in prima persona di essere contagiati, e di conseguenza di portare il virus a casa. Qui la musica non può salvare nessuno: l’unica speranza è l’unità dei soggetti interessati nelle giuste rivendicazioni – richieste dal buon senso, prima che dall’analisi politica. Ancora una volta, la musica può avere l’utile compito di dire e raccontare, di portare i problemi sotto gli occhi di un numero maggiore di persone. Di creare un canale emotivo perché anche chi vive in un luogo miracolato in cui il contagio non si è espanso possa sentire l’angoscia, la rabbia, l’indignazione di chi, travolto dal contagio, è stato anche travolto dalla consapevolezza che la sua vita, per il mondo in cui vive, ha meno valore della merce che produce.

Ma c’è un frangente in cui l’effetto curativo della musica è indubbio: quello dei mali dell’anima. Dramma economico, stress da ansia del contagio, reclusione e sospensione dei contatti sociali non sono privi di conseguenze. L’aumento di patologie depressive sarà (anzi, certamente è già) gigantesco. E qui presto si evidenzierà un’altra grossa falla del nostro sistema sanitario: la cura della psiche è coperta in minima parte, ed è totalmente delegata alla sfera del privato. Ci sono professoroni con cattedra e libera professione, come anche partite iva che tirano a mettere assieme pranzo e cena – ma lo sforzo economico è praticamente sempre sulle spalle del malato e della famiglia. Sarà una nuova ondata che ci travolgerà tra poco, mettendo in luce un altro dramma prodotto dal sistema in cui viviamo. E in questo, sì, la musica potrà salvare qualcuno, perché ha il potere straordinario di intervenire sull’umore. Suono abbastanza spesso nelle residenze per anziani, o per pazienti psichiatrici; e in passato ho suonato diverse volte per i malati terminali. Si tratta di situazioni in cui il crollo psicologico è uno dei tanti aspetti del disagio vissuto. Poter ascoltare la canzone che loro stessi chiedevano, era per molti l’unico momento della giornata in cui riuscivano a sorridere. Un sorriso nella disperazione a volte riesce davvero a salvarci la vita.

Stai già lavorando a nuovi brani da proporre in futuro? Vuoi darci qualche anticipazione?

Ho sempre qualche canzone nel cassetto, ma al momento non sto lavorando a nuovi progetti musicali – ne ho troppi ancora freschi da portare in giro (si fa per dire). Sto lavorando a dei progetti editoriali che ho in piedi da qualche tempo: uno è un saggio su Leonard Cohen, di cui ho già chiuso la pria stesura. L’altro è un romanzo, un giallo, che mi frullava nella testa da almeno cinque anni, e che non avevo mai avuto la costanza di sedermi alla scrivania e scrivere. La quarantena me ne ha dato l’occasione. Per ora ho pubblicato solo libri di poesie – oltre a decine e decine di articoli, che spero di raccogliere prima o poi in un volume. Vediamo se questo nuovo orizzonte troverà un riscontro.

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In più ho un’altra idea, mi piacerebbe realizzare un podcast… ma parla di un argomento molto specifico, quindi preferisco non anticipare nulla: prima dovrò studiare e documentarmi un sacco.

Dove ti vedremo/ascolteremo nei prossimi mesi?

Se non succede un miracolo, temo che ancora per parecchio tempo l’orizzonte delle esibizioni di chi campa di musica resterà quello dei social. Io per ora faccio concerti in streaming su facebook, gratuiti ma con possibilità di donazione su di un “cappello virtuale”. È una sorta di busking due punto zero, se vogliamo. Non è neppure lontanamente paragonabile a un concerto vero e proprio, ma in qualche modo a livello emotivo funziona. Si raccoglie una bella umanità, attorno a una diretta. Gente che interagisce, con te gli uni con gli l’altri; che si affeziona a te, così come tu ti affezioni a loro. È un sostenersi a vicenda in un momento che è, lasciatemelo scrivere, oggettivamente una merda. E abbiamo bisogno gli uni degli altri.